La decisione di andare via di casa, abbandonando così il tetto coniugale, non è dato sufficiente per considerarlo come la causa scatenante della rottura irreversibile della coppia. A chiarirlo i Giudici della Cassazione, che hanno così respinto il ricorso di una donna, che, nonostante il riconoscimento dell’assegno mensile di mantenimento, aveva comunque chiesto di vedere addebitata la separazione al marito (Cassazione, ordinanza n. 11162/19, sez. VI Civile – 1).
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Ufficializzato l’addio tra i due coniugi, i Giudici obbligano l’uomo a versare «un assegno di mantenimento di 150 euro mensili» alla moglie e a contribuire anche al «mantenimento delle figlie (maggiorenni ma non ancora indipendenti economicamente)» staccando «un assegno mensile di 400 euro». Per lui, però, c’è anche una piccola soddisfazione: viene esclusa l’ipotesi che «la separazione» dalla consorte sia addebitabile a lui. Questa decisione viene mal digerita dalla donna, che propone ricorso in Cassazione, evidenziando il fatto che il marito abbia avuto «una relazione extraconiugale» e, soprattutto, si sia reso colpevole dell’«abbandono del tetto coniugale». Questi elementi, però, contrariamente a quanto ritenuto dalla donna, non sono sufficienti per ‘crocifiggere’ il marito, ritenendolo colpevole della crisi irreversibile della coppia. Su questo fronte, in particolare, i magistrati osservano che «il fatto in sé dell’abbandono del tetto coniugale doveva comunque essere provato, non solo quanto alla sua concreta verificazione, ma anche nella sua efficacia determinativa della intollerabilità della convivenza e della rottura dell’affectio coniugalis». Tale nesso non è emerso però in modo chiaro, e tale lacuna è decisiva, poiché, chiariscono i giudici, «non costituisce violazione di un dovere coniugale la cessazione della convivenza quando ormai il legame affettivo fra i coniugi è definitivamente venuto meno e la crisi del matrimonio deve considerarsi irreversibile».
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