Dopo aver contratto matrimonio, nel 2007 due coniugi si separavano con separazione consensuale omologata nel dicembre del 2012 e, successivamente con sentenza del Tribunale di Roma del 2018, divorziavano.
Dall’unione coniugale erano nati due figli che, a seguito della separazione erano stati affidati congiuntamente ai genitori con collocazione presso la madre.
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Ebbene, quest’ultima già prima del divorzio, aveva notato che la nuova compagna del marito era solita pubblicare, sul suo profilo Facebook e su altri social networks, le foto dei suoi figli, all’epoca minorenni, con tanto di commenti indirizzati, seppure senza farne il nome, alla prima.
La donna aveva più volte tentato di invitare l’altra a cessare tale condotta. Ma tutto era risultato vano; cosicché, successivamente, le veniva inoltrato a mezzo di lettera raccomandata una formale diffida, solo a seguito della quale la nuova compagna dell’ex coniuge rimuoveva le foto e i commenti.
Dopo qualche tempo, la pubblicazione delle foto dei minori riprendeva, seppur con il viso coperto e questa volta, seguita da commenti offensivi sia nei confronti della madre che delle sue cognate.
Sicché nella sentenza di divorzio i due coniugi decidevano di inserire la seguente condizione: “la pubblicazione di fotografie dei figli minori sui social network sarà consentita esclusivamente ai genitori e non a terze persone, salvo consenso congiunto di entrambi”.
Ma anche in questo caso, dopo il divorzio le pubblicazioni riprendevano, sia su Facebook sia su Instagram, senza alcun oscuramento nemmeno del viso.
La controversia tra le due donne è finita così dinanzi al Tribunale di Rieti che ha accolto la domanda cautelare presentata dalla madre dei due bambini, volta ad ottenere l’immediata cessazione della condotta contestata.
Al fine di valutare la sussistenza dei presupposti dello strumento cautelare nel particolare ambito della pubblicazione e divulgazione, a mezzo social networks, di immagini e dati afferenti soggetti minori, l’adito giudice ha tenuto conto di elementi quali l’a-territorialità della rete, che consente agli utenti di entrare in contatto ovunque, con chiunque, nonché la possibilità, insita nello strumento, di condividere dati con un pubblico potenzialmente mondiale e globalizzato, per un tempo non circoscrivibile.
La tutela della vita privata e dell’immagine dei minori ha trovato tradizionalmente cittadinanza, nel nostro ordinamento, nell’art. 10 c.c. (concernente la tutela dell’immagine); nel combinato disposto degli artt. 4,7,8 e 145 del Codice della Privacy (riguardanti la tutela della riservatezza dei dati personali) nonché negli artt. 1 e 16 I co. della Convenzione di New York del 20-11-1989, ratificata dall’Italia con la legge 27-5-1991 n. 176 (laddove, in particolare, l’art. 16 stabilisce che: “1. Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. 2. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”).
Con l’evoluzione dei sistemi di diffusione delle immagini legate allo sviluppo del web, lo scenario normativo è mutato, adattandosi alle nuove realtà digitali.
A tal riguardo, il Considerando n. 38 del regolamento UE n. 679/2016 del 27.04.2016 (entrato in vigore il 25.05.2018) dispone che: “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali (…)”; e l’ art. 8 prevede che ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, il trattamento dei dati personali è lecito soltanto se e nella misura in cui il consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale.
Gli Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni.
In tale prospettiva, il legislatore italiano, col decreto di adeguamento del Codice Privacy (D.Lgs. 101/18 art. 2 quinquies), ha fissato il limite di età a 14 anni, espressamente prevedendo che, con riguardo ai servizi della società dell’informazione, il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a quattordici anni è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale.
Tali considerazioni in punto di fumus boni iuris della domanda cautelare – a detta del Tribunale – risultavano ulteriormente rafforzate dalla circostanza che, in sede di divorzio congiunto, i coniugi avessero espressamente stabilito che “la pubblicazione di fotografie dei figli minori sui social network sarebbe stata consentita esclusivamente ai genitori e non a terze persone, salvo consenso congiunto di entrambi”.
Con tale previsione, dunque, i medesimi ex coniugi avevano inteso regolamentare – nell’interesse della prole – le modalità di diffusione delle relative immagini sul web, subordinandola al consenso congiunto di entrambi.
Chiarita la sussistenza del fumus, non restava che interrogarsi sulla sussistenza del periculum in mora.
Ebbene anche in ordine al periculum il Tribunale laziale non ha avuto dubbi – atteso che l’inserimento di foto di minori sui social network deve considerarsi un’attività in sé pregiudizievole in ragione delle caratteristiche proprie della rete internet.
Il web, infatti, consente la diffusione dati personali e di immagini ad alta rapidità, rendendo difficoltose ed inefficaci le forme di controllo dei flussi informativi ex post.
In questo senso, la più recente giurisprudenza ha evidenziato che “l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che “taggano” le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, (…) il pregiudizio per il minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network”.
Per questi motivi l’azione proposta dalla madre dei due bambini è stata accolta, con conseguente condanna della resistente alla rimozione – dai propri profili social – delle immagini relative ai minori ed alla contestuale inibitoria dalla futura diffusione di tali immagini, in assenza del consenso di entrambi i genitori.
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