La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 21963/19, sviluppando principi già affermati, ha precisato che la cointestazione di un conto corrente, salvo diversa volontà delle parti (ad esempio dell’esistenza di un contratto di cui la cointestazione fosse atto esecutivo, ovvero del fatto che la cointestazione costituisce una proposta contrattuale, accettata per comportamento concludente), è di per sè atto unilaterale idoneo a trasferire la legittimazione ad operare sul conto (e, quindi, rappresenta una forma di procura), ma non anche la titolarità del credito, in quanto il trasferimento della proprietà del contenuto di un conto corrente è una forma di cessione del credito, che il correntista ha verso la banca, e, quindi, presuppone un contratto tra cedente e cessionario.
IL CASO
Nel caso di specie dopo la morte della nonna, le nipoti si appropriavano dei soldi presenti sul conto corrente cointestato, sostenendo che si trattava di comunione pro indiviso.
Gli zii (figli superstiti dell'originaria intestataria) citavano in giudizio le nipoti - estranee alla successione ereditaria - per chiedere la restituzione dell'intera somma.
Nel giudizio di primo grado, il giudice condannava le convenute alla restituzione di una parte delle somme sul presupposto che le somme presenti sul conto bancario cointestato dovessero ritenersi di proprietà pro quota indivisa di tutti i cointestatari.
Proponevano appello gli Zii sostenendo che con la cointestazione del conto corrente, la madre non voleva trasferire la proprietà dei risparmi ma semplicemente far acquisire alle nipoti la possibilità di operare sul conto a firma disgiunta.
Tale tesi si fondava su due considerazioni:
- l'atto di cointestazione del conto è un negozio unilaterale con cui si autorizza i cointestatari a disporre dei crediti;
- un diritto di credito può essere trasferito soltanto con un contratto.
La cointestazione deve essere intesa come autorizzazione ad operare sul conto corrente senza alcun effetto traslativo del credito.
Peraltro, come già chiarito dalla Suprema Corte, la cointestazione del conto corrente comporterebbe unicamente la presunzione di comproprietà dei risparmi, che può essere superata attraverso presunzioni semplici - purché gravi, precisi e concordanti - dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. Civ. Sent. n. 11375/2019).
Si evidenziava, inoltre, che la cointestazione del conto corrente era stata realizzata dalla intestataria originaria senza l'indicazione del corrispettivo o della gratuità della cessione e non aveva, quindi, una causa contrattuale tale da configurarla come un contratto di cessione ma semplicemente come un atto, con il quale, la nonna aveva attribuito la facoltà di gestione del credito.
La Corte di Cassazione con la recente Sentenza n. 21963/2019, quindi, ha chiarito che in difetto di diversa volontà delle parti, non si può attribuire alla mera cointestazione del conto corrente il contenuto di un contratto di cessione del relativo credito.
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