La Corte di Cassazione, prima sezione civile, nell’ordinanza n. 25604/2018 ha chiarito degli elementi importanti che riguardano l’assegnazione della casa familiare.
Secondo i giudici della Suprema Corte, deve ritenersi legittima l'assegnazione della ex casa coniugale alla madre che convive con la figlia maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, che, seppur frequenti l'Università e sia spesso in altra città, ha comunque mantenuto uno stabile collegamento con l'abitazione.
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L’art. 155 quater (introdotto dalla L. 54/2006) e l’art. 337 sexies c.c. (introdotto dal d.lgs. 154/2013) prevedono specificamente che il godimento della casa familiare sia attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.
Queste norme hanno in sé una ratio di protezione nei riguardi dei figli stessi e ne tutelano gli interessi.
Pertanto, l’assegnazione della casa coniugale, non rappresenta una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio. E nemmeno un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole.
La giurisprudenza (cfr. Cass. n. 23591/2010) ha ribadito che “la scelta cui il giudice è chiamato non può prescindere dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, che funge da presupposto inderogabile dell’assegnazione”.
La scelta di assegnare la casa coniugale non può nemmeno essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura solo economica dei coniugi o, tanto meno, degli stessi figli, in cui non entrino in gioco le esigenze della permanenza di questi ultimi nel loro quotidiano habitat domestico.
L’assegnazione della casa, in conclusione, è uno strumento di protezione della prole e non può conseguire altre finalità.
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