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Immagine del redattoreStudio Legale Meleleo

Nessun risarcimento del danno parentale al coniuge infedele



Un principio ormai consolidato sia nella giurisprudenza di legittimità, sia in quella di merito sancisce che, in caso di incidente stradale, e di morte del coniuge o di un prossimo congiunto, che si tratti cioè di un componente appartenente al ristretto nucleo familiare (genitore, coniuge, fratello), si ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale presunto,

 

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consistente nella sofferenza morale che solitamente si accompagna alla morte di una persona cara e nella perdita del rapporto parentale. A questo va aggiunto il danno derivato dalla lesione del diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che ordinariamente caratterizza la vita familiare.

Ma tale prospettiva non è applicabile nel caso in cui il coniuge, che agisce per vedersi riconosciuto il risarcimento, abbia intrapreso una relazione extraconiugale. A fronte di questo quadro, e tenendo presente che «la relazione extraconiugale costituisce un evidente inadempimento all’obbligo di fedeltà tra coniugi» il coniuge, infatti, non può dare prova concreta della «persistenza di un vincolo affettivo» in ambito coniugale e quindi di «avere effettivamente subito un danno morale» per la morte del proprio compagno di vita.

E' quanto sancito dalla recente sentenza n. 31950/2018 dello scorso Dicembre.

La delicata vicenda giudiziaria ha origine nel lontano luglio del 1998, quando, in provincia di Matera, un’automobile si contra con un mezzo agricolo, non assicurato, per giunta. Le conseguenze peggiori sono per la donna alla guida della vettura, che a causa dell’incidente e delle lesioni riportate perde la vita.Una volta ricostruita la dinamica dell’incidente, i Giudici definiscono le responsabilità dei due conducenti. Colpevole non è solo l’autista del mezzo agricolo – e che «ebbe a circolare su strada pubblica, in condizioni di scarsa visibilità, con rimorchio non munito di dispositivi di illuminazione» – , ma anche la donna che, secondo i Giudici, «ebbe a percorrere, pur se a velocità inferiore a quella massima consentita, una strada rettilinea senza prestare adeguata attenzione alla presenza di un ostacolo ancora visibile per le sue significative dimensioni» e «senza indossare le cinture di sicurezza».Accertato, quindi, «il concorso di colpa», in Appello viene ritenuta legittima la pretesa risarcitoria avanzata dai familiari della donna, ossia «il padre, i fratelli e i figli».Respinta, invece, la richiesta presentata dal marito. Questo ‘no’ si spiega, secondo i Giudici, con la mancanza tra i coniugi – non separati – di «un progetto di vita in comune di un vincolo affettivo». E a questo proposito viene evidenziato che «l’uomo aveva avuto una relazione extraconiugale, da cui era nato un figlio tre mesi prima della morte della moglie».Decisiva, quindi, secondo i Giudici, la presenza di «una circostanza che costituisce, secondo comune esperienza, sintomo del deterioramento e della cessazione di un rapporto coniugale» e della conseguente mancanza di «un vincolo affettivo».

A nulla è valso, allora, il ricorso in ultima istanza dinanzi ai giudici della Corte di Cassazione.

Anche questi ultimi hanno confermato il giudizio precedentemente espresso.

A tal proposto, viene preliminarmente ricordato che il danno “de iure proprio” da perdita del rapporto parentale costituisce danno presunto, dovendosi ordinariamente ritenere sussistente tra detti stretti congiunti un intenso vincolo affettivo ed un progetto di vita in comune; nella normalità dei casi, pertanto, in virtù di detta presunzione, il soggetto danneggiato non ha l’onere di provare di avere effettivamente subito il dedotto danno non patrimoniale.

Siffatta presunzione semplice può tuttavia, in quanto tale, essere superata da elementi di segno contrario, quali la separazione legale o (come nel caso di specie) l’esistenza di una relazione extraconiugale con conseguente nascita di un figlio tre mesi prima della morte del coniuge (relazione extraconiugale che costituisce evidente inadempimento all’obbligo di fedeltà tra coniugi di cui all’art. 143 c.c.).

Detti elementi non comportano, di per sé, l’insussistenza del danno non patrimoniale in capo al coniuge superstite, ma impongono a quest’ultimo, in base agli ordinari criteri di ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. (essendo stata, come detto, superata la presunzione), di provare di avere effettivamente subito, per la persistenza del vincolo affettivo, il domandato danno non patrimoniale.

Per tali motivi, nel caso in esame, giustamente la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta del coniuge, dal momento che quest’ultimo non aveva fornito alcuna prova in materia.


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