Con la pronuncia n. 28220 dello scorso 4 novembre, la III sezione civile della Corte di Cassazione, esaminando una domanda avanzata dai familiari di una donna, rimasta invalida a seguito di malpratiche mediche, ha riconosciuto il ristoro dei danni non patrimoniali patiti per lo sconvolgimento delle loro abitudini di vita, conseguente alla necessità di assisterla.
Si è difatti specificato che il familiare di una persona lesa dall'altrui condotta illecita può subire uno stato di sofferenza e un necessitato mutamento peggiorativo delle abitudini di vita che devono essere risarciti, se rivestano i caratteri della serietà del danno e della gravità della lesione, senza che possano valere ad escludere la sussistenza del pregiudizio la circostanza che l'invalidità del congiunto non sia totale o il fatto che l'assistenza possa essere stata ripartita fra più familiari.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla richiesta di risarcimento danni avanzata da una paziente e dai suoi familiari avverso una struttura ospedaliera per la mancata diagnosi di un'endocardite infettiva da cui era risultata affetta la donna al momento in cui era stata dimessa dopo un intervento di valvuloplastica mitralica percutanea.
Gli attori deducevano che la tardiva diagnosi aveva comportato un progressivo peggioramento delle condizioni di salute della paziente, con necessità di numerosi ricoveri ospedalieri, nel corso dei quali era stato effettuato anche un intervento invasivo a cuore aperto che aveva reso necessaria un'assistenza costante, sia domiciliare che presso le strutture sanitarie, con conseguente gravissimo turbamento e un mutamento delle abitudini di vita di tutta la famiglia.
Sia il Tribunale che la Corte di appello di Roma – pur avendo accertato la responsabilità della struttura ospedaliera – rigettavano le domande risarcitorie avanzate dai familiari per lo sconvolgimento delle loro abitudini di vita: a sostegno di tanto si evidenziava come il prospettato grave stato di salute – oltre a non aver reso la donna del tutto dipendente dai familiari – implicava la necessità di una sola assistenza familiare che, per quanto faticosa sul piano psicologico, evidentemente era condivisa ed era avvenuta principalmente durante i ricoveri ospedalieri.
I familiari proponevano ricorso per Cassazione deducendo come erroneamente la corte di merito non aveva riconosciuto loro il risarcimento del danno patito, perché l'assistenza era stata prestata nel solo ambito familiare.
La Cassazione condivide le tesi difensive della famiglia.
Gli Ermellini specificano che erroneamente la Corte di merito ha escluso il danno patito dai congiunti per il fatto che la paziente non era del tutto dipendente dai familiari e perché l'assistenza prestata rivestiva natura familiare: difatti anche un'invalidità parzialmente invalidante può comportare la necessità di un impegno di assistenza a carico degli stretti congiunti i quali, perla necessità di adattare la propria vita alle sopravvenute esigenze del familiare menomato, subiscono un concreto pregiudizio, non attenuato dalla circostanza che l'assistenza sia motivata da vincoli di affetto e solidarietà propri dei rapporti familiari.
In tali casi, infatti, rileva il fatto che il familiare della persona lesa dall'altrui condotta illecita possa subire uno stato di sofferenza e un necessitato mutamento peggiorativo delle abitudini di vita: entrambi i pregiudizi debbono essere risarciti, se rivestano i caratteri della serietà del danno e della gravità della lesione, senza che possano valere ad escludere la sussistenza del pregiudizio la circostanza che l'invalidità del congiunto non sia totale o il fatto che l'assistenza possa essere stata ripartita fra più familiari.
Da ultimo, gli Ermellini chiariscono che il risarcimento del danno non patrimoniale può spettare anche ai prossimi congiunti della vittima di lesioni personali invalidanti; in particolare, l'esistenza del danno non patrimoniale, se debitamente allegata nell'atto introduttivo del giudizio, può essere desunta anche soltanto dalla gravità delle lesioni o dimostrata con ricorso alla prova presuntiva, che deve essere cercata anche d'ufficio, se la parte abbia dedotto e provato i fatti noti dai quali il giudice, sulla base di un ragionamento logico-deduttivo, può trarre le conseguenze per risalire al fatto ignorato.
In virtù di tanto, la Cassazione accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.
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