La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9004/2020 si è pronunciata su contenzioso relativo al posizionamento di un gazebo che, secondo i ricorrenti, era posto a distanza illegale dalla loro proprietà.
In sede di merito i Giudici avevano ritenuto che il gazebo non costituisse una costruzione ai sensi dell’art. 873 c.c., poiché autoportante ed amovibile, priva di stabile collegamento al suolo e tale da consentire il passaggio di aria e luce, senza dar luogo ad intercapedini dannose.
Gli attori avevano impugnato la sentenza della Corte di appello lamentando che la decisione avesse erroneamente escluso che il gazebo costituisse una costruzione ai fini del rispetto dell’art.873 c.c. in tema di distanze nelle costruzioni, pur trattandosi di opera accessoria ad un fabbricato, tanto che i resistenti avevano richiesto ed ottenuto, su tali presupposti, la sanatoria dell’abuso.
La Corte di merito aveva correttamente accertato, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, che, ai fini della disciplina sulle distanze legali, è “costruzione” qualsiasi opera stabilmente infissa al suolo che, per solidità, struttura e sporgenza dal terreno, possa creare intercapedini dannose.
La relativa nozione è unica e deriva dalle norme generali, senza possibilità di deroghe per effetto delle norme secondarie, in quanto il rinvio agli strumenti urbanistici locali, contenuto nell’art. 873 c.c., è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una “distanza maggiore”. Era quindi irrilevante che il gazebo fosse qualificato come accessorio del fabbricato (o come superficie non residenziale) dal provvedimento di sanatoria o che come tale fosse contemplato dalle norme locali, poiché, per l’applicabilità dell’art. 873 c.c., il giudice era tenuto a verificare esclusivamente se l’opera, in base alle sue caratteristiche strutturali, fosse tale da configurare una costruzione.
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