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Immagine del redattoreStudio Legale Meleleo

Entrare nel profilo Facebook del partner è reato?


La Corte di Cassazione si è pronunciata su un argomento che è oramai all’ordine del giorno: vale a dire la privacy legata ai Social Network e, in modo particolare, a Facebook. Con la Sentenza in discussione, infatti, arriva un duro diktat per chi trasgredisce alle regole sulla privacy e viola l’account del coniuge/compagno/fidanzato.

 

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Con due pronunce parzialmente speculari depositate il 22 gennaio scorso, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha affrontato il tema dell'inviolabilità delle pagine personali del social network ribadendone nei fatti la piena assimilazione ad ogni luogo di domicilio "reale", come testimoniato dalla collocazione codicistica del reato di "accesso abusivo a sistema informatico" nel novero dei "delitti contro la inviolabilità del domicilio".

Le vicende addivenute all'attenzione del Supremo Collegio avevano ad oggetto una pluralità di accessi alle pagine facebook delle due persone offese posti in essere rispettivamente dal marito della prima e dal fidanzato della seconda. Le difese di entrambi avevano affermato che le introduzioni informatiche nelle pagine web erano state possibili in ragione del fatto che erano state le stesse persone offese ad avere fornito le proprie credenziali di accesso nel corso delle rispettive relazioni sentimentali, prima che si logorassero.

La Suprema Corte ha sancito l'insufficienza della legittima conoscenza delle chiavi di accesso alle pagine violate ad escludere la sussistenza dell'elemento oggettivo del delitto previsto e punito dall'art. 615 ter c.p..

In altri termini, perché l'accesso informatico all'altrui pagina social possa ritenersi legittimo è necessario che non siano ecceduti gli ambiti di misura tracciati dal titolare dello ius excludendi alios.

Nei casi ad oggetto delle vicende analizzate, in definitiva, non poteva che intendersi varcato l'ambito del consentito dalle "proprietarie" delle pagine facebook: nel primo caso, il marito aveva fotografato la conversazione avvenuta via chat con un altro uomo per poi produrne l'immagine nel giudizio di separazione; nel secondo caso, addirittura spacciandosi per la "titolare della pagina", il fidanzato di costei si era interfacciato direttamente con il rivale in amore.

Antecedente di esplicito riferimento delle pronunce in analisi è la recente sentenza n. 41210 del 2017 con cui le Sezioni Unite, superando la pregressa disparità di orientamenti giurisprudenziali, hanno sancito che"integra il delitto previsto dall’art. 615-ter comma 2 n. 1 c.p. la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un servizio informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee e comunque diverse rispetto a quelle per le quali, soltanto, la facoltà di accesso gli è attribuita".

La vicenda analizzata nel 2017, tuttavia, aveva avuto ad oggetto la assai differente condotta di un cancelliere che aveva consultato i registri informatici della Procura della Repubblica cui aveva accesso per ragioni di lavoro onde accedere ad informazioni sulle indagini pendenti a carico di un proprio conoscente.

E proprio nella distanza tra le fattispecie sta la forza innovativa delle sentenze in odierna disamina che, in una materia in cui è illecita l'analogia in malam partem, sortiscono il non scontato effetto di definire la pagina personale di un social network quale vero e proprio "domicilio virtuale" in cui l'individuo ha piena facoltà di esercitare il proprio diritto di escludere o limitare l'accesso di altre persone.

Di non minor conto, limitatamente alla sentenza n. 2942, è l'esclusione rispetto alla fattispecie analizzata della causa di non punibilità costituita dalla "particolare tenuità del fatto" ex art. 131 bis c.p. invocata dalla difesa dell'imputato: i Giudici di legittimità hanno infatti ritenuto di non potersi applicare tale beneficio alla condotta analizzata, non solo per l'intrinesca gravità delle condotte contestate ma anche e soprattutto in ragione del così ribadito carattere ostativo della condanna per più fatti avvinti tra loro dal vincolo della continuazione.

Ciò in ragione non solo dei plurimi accessi del fidanzato nella pagina social della propria partner, ma anche per la condanna dello stesso per il reato di "sostituzione di persona" commesso nell'interagire via chat con un soggetto terzo, spacciandosi per la persona offesa.

Così motivando, la V sezione della Corte, pur nella laconicità del modus espositivo, prende posizione in ordine ad una tensione giurisprudenziale ormai matura perché si giunga ad un intevento chiarificatore delle Sezione Unite: sposando la tesi più restrittiva ed in vero fino ad oggi maggioritaria, la sentenza in analisi ha affermato infatti che nella stessa contestazione di due o più reati in continuazione siede l'abitualità prevista dall'art. 131 bis c.p. quale elemento ostativo ai fini della dichiarazione della particolare tenuità del fatto.

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